L'editoriale di Guglielmo Pelliccioli
Piccole sensazioni positive arrivano a rendere meno freddo
questo inizio d’anno. Alcuni operatori immobiliari ci hanno confidato che
l’anno è partito con un paio di business conclusi e altri sono dietro l’angolo.
Non è nulla di trascendentale e neppure così consolidato da poter apparire come
un’inversione di tendenza. Diciamo che è come assistere un ammalato a cui la
febbre scende da 40 a 39 e mezzo!
Tutto questo però, oltre che darci un filo leggero leggero
di ottimismo, serve anche a scuoterci da quello stato di scoramento e sconforto
con cui avevamo chiuso l’anno.
Certo è troppo presto per dire se questo è l’inizio di un
ciclo o, più semplicemente, è il combinato disposto di due casualità in forma
di domanda ed offerta che si sono incontrate i primi di gennaio, dopo aver
cincischiato magari per tutto l’anno precedente.
Sia come sia, c’è nelle istituzioni, che l’hanno più volte
ribadita, la consapevolezza che l’anno corrente registrerà l’inizio della
ripresa. Come e in che misura non si sa: bisognerà aspettare i prossimi mesi e,
in particolare, il secondo semestre per capire se sarà vera gloria.
Intanto vanno messi in conto alcuni passaggi non
trascurabili per il sistema immobiliare e per l’economia più in generale.
Cominciamo dalla politica. E’ chiaro che il nuovo esecutivo,
qualunque esso sia, dovrà metter mano, come impegno prioritario assoluto, a
creare le condizioni per la ripresa: ce lo impone l’Europa e qualcosa il nuovo
governo dovrà fare. Siccome non ci sono molte alternative le prime condizioni,
per riavviare il paese, saranno quelle di dare una maggior spinta ai consumi o
con incentivi o con la creazione di nuovi posti di lavoro. Sicuramente più i
primi che i secondi. Il governo chiederà, anzi imporrà, alle banche di tornare
a fare il loro mestiere, cioè prestare denaro anche se con criteri molto
selettivi. Terzo, i comuni dovranno trovare risorse ‘interne’ per sopravvivere
e compiere le opere necessarie: i soldi non potranno derivargli che da una
collaborazione con l’industria privata e, nel caso specifico, con progetti
misti pubblico- privato. E qui entra in gioco l’immobiliare. Come si inserirà il
real estate in questo nuovo modo di fare mercato? Certo non potrà pensare di
continuare a costruire case, quando di case ne esistono già abbastanza. Dovrà
concentrarsi su altri segmenti o tipologie di infrastrutture: il ripristino
delle vecchie caserme, la rimessa in sesto delle aree abbandonate, la fornitura
di nuovi servizi ad alto valore aggiunto, la gestione stessa di grandi
patrimonio di proprietà pubblica, la costruzione di edifici per la comunità, lo
sviluppo di iniziative di edilizia sociale, la riconversione di una parte del
mercato invenduto in soluzioni che prevedano l’affitto, la riedificazione su
basi completamente diverse del vastissimo patrimonio di edilizia sociale
pubblica.
Ma per fare tutto questo è stato attivato un ragionamento
che abbia messo a confronto le diverse anime dell’industria immobiliare? I
costruttori hanno un’idea, la società di gestione un’altra, le banche un’altra
ancora, il governo (che c’era o che ci sarà) ha, infine, una quarta o quinta
visione. Questo per il patrimonio più vasto. Sul territorio locale è ancora
peggio. Chi sta dando una mano ai comuni per capire come valorizzare i loro
cespiti, con quali strumenti e con quali partner finanziatori? Come si intende
procedere con il patrimonio vecchio ed obsoleto che deturpa le città e i vari
centri locali? Possibile che a nessuno venga in mente cosa farne, come agire o,
almeno, cosa proporre alle parti proprietarie.
Pensiamo che la ripresa si giocherà molto su questi aspetti,
finora abbastanza dimenticati, e che sarebbe opportuno che i vari attori della
filiera immobiliare si incontrino per ragionare su questo futuro. Certo non
sarà inutile anche affrontare temi più ampi come ad esempio il futuro di molte
città da punto di vista immobiliare. Ne citiamo una a caso: Bologna. E’ una
città in crisi non si vende nulla e si fatica ad affittare uffici di una certa
dimensione. Cosa si può fare? Che iniziative andrebbero preso di concerto con
il comune e forse la regione?